Viaggiare regala sempre attimi di eternità. Sono momenti rari, preziosi, in cui il tempo pare fermarsi e una luce soprannaturale sublima tutto ciò che mi circonda, trasformandolo in qualcosa che durerà in eterno. Nel mio cuore, almeno.
E’ una luce di un silenzio assordante, capace di cancellare gli ostacoli che solitamente impediscono di entrare in contatto vero, profondo, agghiacciante con il mondo. E con me stessa.
E’ un silenzio di una luminosità talmente intensa da scheggiare il confine delle cose e rimettere a fuoco il mondo. Una prospettiva assoluta, dove il superfluo viene bandito, i sensi si acquietano e posso finalmente ritrovare il mio posto di granello di sabbia nel deserto, di goccia d’acqua nell’oceano. E’ in momenti come questi che ogni cosa ritrova il suo senso originario e riesco a percepire me stessa per quello che in effetti sono. Un semplice, minuscolo, apparentemente insignificante, attimo di eternità. Nulla più.
In Irlanda questi momenti magici hanno un denominatore comune e potentissimo: la Natura. Quella con la N maiuscola e tutta la forza del Creato a ricordarci qual è il nostro posto nell’universo. Sono attimi così intimi da non poter essere descritti a parole, da non poter essere raccontati, svelati, fotografati. Possono solo venir vissuti. E interiorizzati.
Mi limiterò dunque a ripercorre i luoghi di queste “rivelazioni” con la stessa cura con cui scrivo il nome delle spiagge nei vasetti che uso per collezionare le Terre dal Mondo. Semplicemente per non dimenticare i nomi e le circostanze. Le emozioni, ovviamente, non si dimenticano…
Rathlin Island è il punto più settentrionale del Northern Ireland. Un’isoletta a forma di L rovesciata, incastonata tra l’Irlanda e la Scozia. Sette miglia al largo della prima, tredici al largo della seconda. Ci vivono una settantina di persone, tra cui sei bambini e un’insegnante. Ha due chiese, una scuola, tre fari, un centro ornitologico chiuso per lavori di ristrutturazione, un autobus che alle 3 del pomeriggio annuncia l’ultima corsa e un pub con tavolini all’aperto dove ci fermiamo a sgranocchiare qualcosa. E poi ci sono enormi scogliere di gesso che si tuffano in mare e scogli in basalto che si protendono verso il blu cobalto dell’oceano.
Durante i 45 minuti di traghetto che separano l’isola da Ballycastle, sulla terraferma, chiacchero piacevolmente con due signori irlandesi innamorati dell’Italia. Sono madre, anziana, e figlio. Lui c’è già stato qualche anno fa ed è stupito di trovare degli italiani a bordo. “Quando scenderai, capirai perchè” mi dice. E in effetti non tarderò a capirlo.
Eppure per me questa resterà una delle esperienze più memorabili di tutta la vacanza. Lo sento già prima di mettere piede sull’isola e ne avrò la certezza assoluta la sera, quando faticherò a prendere sonno ripensando a loro:
Sono le foche che popolano gli scogli nerastri di Mill Bay, una quindicina di minuti a piedi dal porto. Siamo giunti fin qua per loro, consapevoli però che l’incontro – come sempre succede in natura – non è garantito. E infatti all’inizio non le vediamo e temiamo di aver fatto il viaggio a vuoto, visto che anche le pulcinelle di mare se ne sono già andate verso climi migliori.
Poi Samir impugna la macchina fotografica, aziona lo zoom al massimo, sta fermo qualche secondo, scatta un paio di foto, ingrandisce un puntino minuscolo sullo scoglio e inizia a saltare come un matto. Ci sono, ci sono! urla a squarciagola, mentre noi fatichiamo a riconoscere una foca in quel puntino sgranato e fuori fuoco. Ma, per fortuna, ha ragione lui.
Per avvicinarci facciamo di tutto, compreso camminare in bilico sui rari pezzi di terra “asciutta” (bel eufemismo!) che affiorano dalle torbiere. E’ un avvicinarci lento, cauto, rispettoso e richiede tempo. Ma alla fine verremo ricompensati dall’incontro più memorabile di tutto il viaggio. Restiamo ore seduti su una pietra ad ammirarle in silenzio, chiamandoci con gli sguardi tra di noi per non disturbarle.
Loro se ne stanno beate sugli scogli a godersi i tepori di una giornata particolarmente calda. Si rotolano sui fianchi, si stiracchiano, paiono addormentarsi e poi di colpo si tuffano in acqua per riaffiorare subito dopo e salutarci con quegli occhioni dolci e apparentemente tristissimi.
Lo ammetto: ho un debole per i siti archeologici e non riesco ad immaginare un viaggio senza una sosta davanti a quelle che per i più sono soltanto pietre. Eppure, fino a qualche settimana prima della partenza, non avevo mai sentito parlare dell’incredibile complesso archeologico custodito lungo la Valle del Boine, una quarantina di chilometri a nord di Dublino. Ho deciso di inserirlo nel nostro itinerario più per Samir, che quest’anno a scuola ha studiato l’Età della Pietra, che per me stessa.
Per mancanza di tempo non avevo avuto modo di approfondire più di tanto l’argomento e quindi sono partita sapendo solo che avremo visitato un complesso di tombe a corridoio inserite tra i Beni Patrimonio dell’Umanità. Tombe in qualche modo legate al percorso del sole e più antiche – di un migliaio d’anni! – delle piramidi d’Egitto e di Stonehenge.
Quest’ultimo aspetto mi aveva incuriosito più delle immagini trovate on-line, con quelle collinette ricoperte d’erba che non lasciavano minimamente presagire la magia del luogo. Magia abilmente evocata dalle due bravissime guide che ci hanno accompagnato in visita a Knowth, prima, e Newgrange, dopo.
Il primo sito è impressionante per la ricchezza e la bellezza delle incisioni sulle enormi pietre che circondano la tomba principale. A quanto ci racconta la guida, il riconoscimento da parte dell’Unesco è dovuto proprio al fatto che qui, sulle rive del fiume Bòine, si concentra il 60% dell’arte megalitica mondiale. Alcune delle tombe limitrofe a quella principale sono collassate su se stesse e permettono di capirne la struttura interna, mentre alcuni pannelli didattici illustrano lo sviluppo dell’area archeologica nel corso dei millenni e la stanza ricavata all’interno della tomba ne spiega le modalità costruttive e le peculiarità architettoniche.
Ma il vero miracolo avviene a Newgrange nel momento in cui la guida ci invita a stringerci ai lati della sala cruciforme che si trova al termine del lungo corridoio e spegne la luce. Grazie ad un raggio di luce artificiale posizionato alla perfezione, per un minuto viviamo anche noi la magia che da 5.300 anni si ripete ogni 21 dicembre. Nel giorno del solstizio d’inverno, infatti, il sole sorge dalla collina posizionata di fronte all’ingresso della tomba e per 17 minuti illumina la sala che si trova in fondo al lungo corridoio. Il raggio di luce non solo passa rasente alla pavimentazione naturale, ma assume addirittura l’aspetto di una freccia grazie alle leggere curvature del corridoio stesso.
Non so descrivere a parole il brivido che mi percorre la schiena nel momento in cui il raggio di luce squarcia l’oscurità della tomba. Posso solo dire che è in assoluto il momento più emozionante di tutta la vacanza e per una volta ringrazio il divieto di scattare fotografie che mi ha permesso di godere appieno la magia del momento.
Scoprire che oltre 5.000 anni fa l’uomo è stato in grado di trasportare per 50-70 chilometri macigni che pesano tra le 4 e le 12 tonnellate, allinearli secondo precisissimi calcoli astronomici e costruire un complesso architettonico capace di sopravvivere per millenni alle incurie del tempo e alla violenza degli uomini, mi ha fatto sentire per una volta veramente orgogliosa di appartenere alla razza umana. Altro che attimo di eternità…
Niente succede a caso, ne sono sempre più convinta. Anche la lettura di un semplice libro può svelare sentieri inaspettati che ci attendono da sempre. E’ quello che mi è successo con Il Giardino delle Nebbie Notturne di Tan Twan Eng, un libro che mi è stato regalato pochi giorni prima di prenotare il volo per Dublino. Ambientato negli altopiani della Malesia, narra le atrocità dei campi di concentramento giapponesi e la dolcissima storia d’amore tra l’unica sopravvissuta a tanta crudeltà e Aritomo, l’ex giardiniere dell’Imperatore del Sol Levante. Un concentrato di cultura orientale, dove l’arte del giardinaggio ha il ruolo di primattore.
Il libro mi è piaciuto molto e mi ha incuriosito ancor di più. Inevitabile, dunque, l’attrazione fatale per quest’angolo verde d’Irlanda, a cui la guida accenna come a il più bel giardino giapponese d’Europa. Un piccolo paradiso terrestre nel cuore della contea di Kildare, rinomata in tutto il paese per l’allevamento di stalloni e purosangue.
Il giardino, progettato più di cent’anni fa da Tassa Eida, è una magnifica allegoria vegetale dello splendido viaggio che è la vita umana. Partendo dal Cancello dell’Oblio, dopo aver vagato per grotte, sentieri, ponti, colline, scorciatoie e vicoli ciechi, si arriva felici e in pace con se stessi alla Porta dell’Eternità. Un viaggio che ripercorre tappa a tappa la vita umana, con le sue inevitabili cadute e le aspirazioni di immortalità.
Arriviamo ai Japanese Gardens scortati da un baldanzoso raggio di sole che cede ben presto il passo al classico acquazzone irlandese. Dura poco più di un minuto, il tempo necessario per ricordarci che dopo la pioggia torna sempre il sereno. In Irlanda come nella vita di tutti i giorni, solo che qui sereno significa un’esplosione di verde come in pochi altri angoli del pianeta.
Dopo aver percorso con i miei compagni di viaggio le tappe della nascita, dell’infanzia e del matrimonio, m’incammino da sola lungo le pendici che conducono in cima alla Collina dell’Ambizione. La vista spazia su buona parte del percorso. E’ toccante e quantomai esplicativa. Volgendo lo sguardo tutt’intorno intravedo ai miei piedi la siepe che simboleggia la Differenza di Opinioni. E’ la siepe che obbliga gli sposi a separasi momentaneamente lungo il loro cammino e ciò che salta all’occhio, da quassù, è la sua pochezza rispetto all’intero corso della Vita. Cosa per nulla scontata quando ci si ritrova in mezzo alle burrasche della vita matrimoniale, ma che andrebbe sempre tenuta presente prima di prendere decisioni da cui è poi difficile tornare indietro. Una bella lezione di vita, insomma. Bella come i pensieri profondi che nascono ad ogni cambio di prospettiva in quello che può essere considerato la quintessenza di opportunità per far scaturire attimi di eternità in terra d’Irlanda.
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L’irlanda mi affascina per tutto quel verde… ma ora che ho visto le foche *_*
Ancora di più, vero?!?
quesi tumuli di Boine sembrano tanto tanto quelli di cerveteri. altro luogo altra epoca altra popolazione. bellissimo con quell’erba verdissima che nel mediterraneo non vedremo mai. mannaggia mi devo spingere anche lassù??????
Mi sa tanto di sì, cara Clara…
Per una come te è un luogo davvero imperdibile!